Il bilancio sociale è uno strumento di accountability, ovvero di rendicontazione delle responsabilità (accounting for responsibility), dei comportamenti e dei risultati sociali, ambientali ed economici derivanti dalle attività svolte da un ente. Il bilancio sociale ha il fine di offrire un’informativa strutturata e puntuale a tutti i soggetti, interni e esterni, interessati dalle attività dell’organizzazione, non ottenibile a mezzo della sola informazione economico-finanziaria contenuta nel bilancio di esercizio. Più specificatamente, gli obiettivi del bilancio sociale sono: a) affermare la missione e i valori perseguiti da un ente, b) creare una piattaforma di dialogo con gli stakeholder (o portatori di interesse) e discutere le loro aspettative, c) migliorare la dimensione comunicativa dell’ente, d) favorire la partecipazione e la trasparenza. Inoltre, il processo di rendicontazione sociale crea le condizioni per analizzare la dimensione strategico-organizzativa dell’ente, per valutarne l’efficienza ed eventualmente ripensarne la struttura, e l’utilizzo delle risorse in rapporto agli obiettivi raggiunti. .

La Fondazione Opera Santa Rita ha scelto di intraprendere un percorso di rendicontazione sociale che produca un bilancio sociale capace di adempiere agli obiettivi prima esplicitati, e di rispondere alle Linee guida per la redazione del bilancio sociale per gli enti del Terzo settore, con lo scopo di giungere ad un documento che possa fregiarsi della dicitura “Bilancio sociale predisposto ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 117/2017”..

Mi pregio di pubblicare di seguito la lettera del Presidente , documento introduttivo alla presentazione del Bilancio sociale in occasione della serata organizzata lo scorso 22 luglio alla presenza del Vescovo della Diocesi di Prato e di numerose autorità della vita sociale e politica della nostra città di Prato

Ricorderemo per sempre il 2020 come l’anno in cui ci siamo ritrovati inaspettatamente fragili, impotenti ed impreparati rispetto ad un evento che nell’afflato emozionale abbiamo definito come il nemico comune da combattere. Gli scienziati gli hanno attribuito un nome fino ad allora del tutto estraneo al nostro vocabolario, entrato prepotentemente nella nostra vita, oltre che nella nostra lingua: Covid 19. Quella che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere tuttavia non è mai stata una guerra contro qualcuno. Si è trattato in realtà di un evento che fa parte degli eventi non auspicabili ma possibili, e che poteva far parte della nostra contemporaneità, come più volte in passato è appartenuto alla storia della umanità. Ciò che ci ha sorpresi è che oggi pensavamo di essere preparati a tutto probabilmente sopravvalutando le nostre potenzialità e scoprendo così le vulnerabilità di un sistema che ritenevamo quasi perfetto. Se alla lunga ne usciremo però non lo faremo evocando categorie mentali di per sé divisive e portatrici di odio come la guerra contro qualcuno o qualcosa, ma recuperando i valori che stanno alla base del nostro essere uomini e donne, coinvolte inesorabilmente in un comune destino, mai finora così interconnesso. Ne usciremo se capiremo che ormai ogni angolo del mondo è anche la nostra casa, che l’ambiente è un bene prezioso per tutti, che la solidarietà è una necessità ineludibile verso il vero progresso e non solo una categoria che appartiene astrattamente ai valori di riferimento delle brave persone, chissà perché immaginate sempre anche un poco sprovvedute. Ne usciremo se sapremo prenderci cura gli uni degli altri comprendendo che questo ci rende migliori e maggiormente resilienti. La solitudine che abbiamo sperimentato, i morti che piangiamo e che non hanno avuto il conforto dei loro affetti, sono l’eredità che dobbiamo coltivare; per il rispetto dovuto a chi ha sofferto ma anche per ritarare i nostri futuri progetti sulla base di quello cha abbiamo capito. La Fondazione Opera Santa Rita si è ovviamente ritrovata come tutti in questa inaspettata tempesta. L’abbiamo affrontata all’inizio con la paura ed i timori che la portata di questa sciagura ha manifestato. Paura che però via via si è trasformata in coraggio: il coraggio di chi è consapevole dell’importanza del proprio ruolo. In definitiva, per amore dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze abbiamo capito che non avevamo il diritto di far prevalere la paura. I nostri operatori e le nostre operatrici sono stati magnifici. Mentre la maggior parte del Paese era chiuso nelle proprie case per proteggersi dal peggio, hanno affrontato la sfida quotidianamente senza defezioni. Cosa dire a chi aveva un malato oncologico in casa e che si è dovuto comunque assumere il rischio del contagio continuando il proprio lavoro se non che è stato un eroe. Eppure lo hanno fatto, nel silenzio e nella fedeltà alla loro missione e senza neppure avere il conforto del riconoscimento dovuto dalla politica e gli organi di informazione che hanno colpevolmente ignorato l’impegno di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici del Terzo settore. Certo le cose non avvengono per caso. E il sistema di protezione adottato con minuziosa cura dai nostri responsabili organizzativi ha sempre messo tutti nella condizione di potersi sentire ragionevolmente al sicuro. E così infatti è stato, allorché non si conta nessun focolaio sviluppatosi nelle nostre strutture e soprattutto non ci sono stati casi di soggetti che hanno subito conseguenze gravi dal contagio né per sé né per i propri familiari. Ma il risultato non era affatto scontato e solo la forte automotivazione ed il senso di appartenenza dei nostri operatori e delle nostre operatrici ha potuto produrre tutto ciò. In questo periodo ci siamo sentiti anche un poco di più fratelli sorelle, padri e madri dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze piuttosto che operatori al loro servizio. E come poteva non essere così, dal momento che per un periodo prolungato siamo diventati gli unici riferimenti di decine di persone che non potevano avere contatto diretto con i propri cari. In questo periodo abbiamo sperimentato la fiducia di queste famiglie, che cogliendo e condividendo appieno le nostre preoccupazioni, hanno sacrificato la loro normale voglia di abbracciare i loro ragazzi e sono state al nostro fianco supportandoci con affetto e grande spirito di collaborazione. Non scorderò mai le lettere di alcune mamme che alla fine del periodo più buio ci hanno ringraziato del lavoro fatto. E più ancora si sono dette contente di aver capito che i loro figli sono in buone mani e che noi abbiamo fatto tutto quello che anche loro avrebbero fatto. Messaggi che hanno riscaldato i nostri cuori e che ci hanno dato, e continuano a darci, la forza per proseguire in questo percorso bello ma anche complicato. Molti hanno detto che dopo questa pandemia niente sarebbe tornato come prima. Non so se questa profezia si avvererà. Certo è che le nostre sicurezze non sono più quelle di prima. Quello che, come Santa Rita, ci porteremo comunque dietro e non scorderemo mai è che solo la compattezza del gruppo, la generosità dei singoli, l’amore e l’attenzione verso i nostri ragazzi e le nostre ragazze possono farci affrontare le sfide più gravi. E che il nostro lavoro è un gran bel lavoro. – Roberto Macrì

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