UN PROGETTO PER IL FUTURO DI EUROPA E ITALIA

Leggo dal Sole 24ore di qualche settimana fa un articolo a firma di Fabrini che ho trovato molto interessante e che l’autore non me ne vorrà se ne riproduco una parte.

“Il discorso tenuto da Mario Draghi al Senato il 17 febbraio scorso è un testo di grande politica. Esso articola un’idea di Italia e di Europa su cui costruire il futuro di entrambe. Con la Germania coinvolta in una transizione governativa (Angela Merkel lascerà la Cancelleria il prossimo settembre), e con la sua leadership prigioniera di una visione mercantilistica della politica, solamente la Francia di Emmanuel Macron aveva finora avanzato una visione sul futuro dell’Unione europea (Ue). Il discorso di Draghi si pone sullo stesso piano. Tuttavia, le due visioni (di Draghi e di Macron) non coincidono, ma è intorno ad esse che si dovrebbe strutturare la discussione europea.
Il punto di partenza è la sovranità nazionale. In un passaggio di formidabile efficacia retorica, Draghi afferma che «non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere». La sovranità non è solamente un concetto giuridico, ma è anche e soprattutto un sistema empirico di politiche pubbliche. Si può essere(formalmente) sovrani ma (materialmente) dipendenti da altri. La sovranità non garantisce l’autosufficienza in quanto le norme non sostituiscono la realtà. In un’epoca di interdipendenze, neppure una grande potenza può considerarsi autosufficiente. Figuriamoci un Paese, come il nostro, di medie dimensioni. Continua Draghi: «Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa, c’è meno Italia».

Se il presidente francese Emmanuel Macron propone la visione di un’Europa sovrana con caratteristiche quasi-statali, Draghi avanza piuttosto la visione di un’Europa federale la cui sovranità è divisa tra gli stati nazionali e le istituzioni sovranazionali. Per lui, infatti, «gli stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nella aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa».
Se la sovranità può essere divisa, allora il problema è dove collocare le sue componenti. Se gli stati nazionali sono importanti per i loro cittadini (in quanto forniscono identità e protezione a questi ultimi), allora non avrebbe senso svuotarli. Piuttosto, occorrerebbe ridefinirli, avviando una negoziazione costituzionale per stabilire ciò che possono fare da soli e ciò che non sono in grado di fare da soli.

Il problema è che, nell’Ue, le «aree definite dalla loro debolezza» sono proprie quelle che gli stati nazionali vogliono tenere per sé (come la politica fiscale, la politica della sicurezza, la politica della difesa, la politica estera, la politica del controllo delle frontiere), mentre non poche aree in comune (si pensi alla politica agricola o aspecifiche politiche regolatorie del mercato) avrebbero potuto rimanere sotto il controllo degli stati. Se la visione quasi-statale di Macron sembra implicare il generalizzato trasferimento della sovranità dalle capitali nazionali a Bruxelles, la visione federale di Draghi sembra invece implicare un ribilanciamento delle competenze tra Bruxelles e gli stati, sovra-nazionalizzando le politiche da governare in comune e rinazionalizzando quelle che gli stati possono meglio governare da soli. Se per Macron, l’Ue sembra essere la proiezione in grande dello stato nazionale, per Draghi essa dovrebbe essere un’organizzazione composita costituita di stati e dei loro cittadini. Non si tratta di opporre lo stato europeo allo stato nazionale, ma di comporre, all’interno di un unico quadro istituzionale e legale, sovranità diverse esercitate democraticamente ai diversi livelli di governo.

Per Draghi, dunque, la relazione tra integrazione europea e stati nazionali non è a somma zero (se vince l’una perdono gli altri, o viceversa), bensì è a somma positiva(possono vincere entrambi). L’Ue e gli stati si possono rafforzare insieme. L’Ue va rafforzata approvando «un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione», un bilancio che dovrebbe servire a finanziare anche la produzione di beni pubblici europei (dalla difesa alle infrastrutture, dal contrasto delle epidemie al contrasto della disoccupazione). Nello stesso tempo, gli stati vanno rafforzati, come sta avvenendo con il programma di Next Generation EU(NG-EU). Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), attraverso cui le risorse di NG-EU vengono usate per costruire il dopo-pandemia, fornisce i mezzi «da utilizzare come leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione». In Italia, per Draghi, il Pnrr non dovrà limitarsi ad elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni, ma dovrà soprattutto precisare «dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050». Nella visione di Draghi, dunque, il rafforzamento dell’Ue e dell’Italia sono reciprocamente funzionali. Se la visione di Macron prefigura un’Europa sovrana che sembra sostituire la sovranità degli stati, la visione federale di Draghi prefigura un’Europa composita di sovranità distinte e positivamente correlate. Tale visione, peraltro, potrebbe aiutare i sovranisti ad emanciparsi dal loro primitivismo.

Insomma, nel suo discorso del 17 febbraio, Draghi non si è limitato ad affermare il carattere europeista del suo governo, ma ha delineato una visione europeista cui ricondurre la soluzione dei nostri problemi nazionali. Tale visione federale può essere differentemente concettualizzata. James Madison, l’architetto della costituzione americana, parlerebbe di compound republic (una repubblica di tante repubbliche), come fece alla Convenzione di Filadelfia del 1787; Jacques Delors, il più influente presidente della Commissione europea del secolo scorso, parlerebbe di una Fédération d’Etats-nations, come fece in un discorso del 1994. Comunque venga definita, la visione pluralista di Draghi può esercitare un ruolo cruciale in Europa, riportando l’Italia tra i protagonisti del dibattito europeo, specialmente in vista dell’imminente lancio della Conferenza sul futuro dell’Europa. Con Draghi e Macron, l’Ue ha finalmente l’opportunità di liberarsi dalla prigionia della vista corta.”

In sostanza si pensa ad uno stato federale e a una riforma della Governance , oggi ancorata da divieti e sovrapposizioni che frenano lo sviluppo di una vera collaborazione fra i soggetti partecipanti. Insomma manca una vera riforma costituzionale che le migliori menti fondatrici avrebbero con la loro lungimiranza sicuramente elaborato nel loro convinto spirito europeista.

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